Una sentenza del Tribunale di Lucca ed un'ordinanza del Tar Firenze sulla partecipazione alla spesa dei servizi hanno ancora una volta riconosciuto le ragioni delle persone con disabilità.
Di Gaetano De Luca*
Proprio mentre le famiglie e le loro associazioni stanno valutando la validità ed il possibile uso delle argomentazioni con cui il Tar della Lombardia ha recentemente riconosciuto l'illegittimità del comportamento del più importante ente locale lombardo, ecco altri due recenti provvedimenti della magistratura che ancora una volta riconoscono i diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari.
Questa volta si tratta del Tribunale ordinario di Lucca (sentenza n. 174 del 1.2.2008) e del Tar Firenze (ordinanza n. 43 del 17 gennaio 2008).
Il Tribunale di Lucca ha considerato illegittime le ingiunzioni con cui un comune toscano chiedeva ai genitori di una persona con disabilità grave una contribuzione al costo di un servizio residenziale. In questo caso il Tribunale non si è limitato a stabilire a carico degli enti locali il divieto di rivalersi sui "parenti tenuti agli alimenti", ma ha anche, chiaramente ed espressamente, sancito la concreta applicabilità del principio del riferimento alla sola situazione economica del singolo utente, come previsto dall'art. 3 comma 2 ter del Decreto Legislativo 109/1998. In altre parole i parenti non possono essere coinvolti ne sotto l'aspetto della concreta richiesta di contributi (che vanno chiesti solo a chi beneficia del servizio), ne rispetto al calcolo della "ricchezza" della persona con disabilità, in quanto occorre fare riferimento solo all'Isee del singolo utente.
Il principio della evidenziazione della situazione economica del singolo utente è stato riconosciuto anche dal Tar Firenze che, nell'ambito di un procedimento cautelare, ha sospeso l'esecuzione dell'atto dei servizi sociali del Comune di Firenze con cui veniva determinata la compartecipazione al costo di un servizio residenziale, proprio perché non applicava tale principio.
In virtù di queste due decisioni ora i due enti locali condannati dovranno modificare i loro criteri di compartecipazione al costo dei servizi sociali e socio-sanitari per evitare altre condanne della magistratura. Se da una parte è vero che nel nostro ordinamento i giudici non sono tenuti ad uniformarsi ai precedenti (anche se il caso è identico), sembra che oramai si stia sempre più consolidando un orientamento favorevole al riconoscimento della validità ed applicabilità di tutti i principi della normativa nazionale I.s.e.e. (decreto legislativo 109/1998) che non può essere "contrastata" dai singoli regolamenti comunali.
La speranza è che i singoli enti locali accolgano le ragioni delle persone con disabilità e dei loro familiari senza dover ogni volta aspettare una sentenza di condanna della magistratura. Le difficoltà finanziarie cui i Comuni potrebbero andare incontro dopo il riconoscimento della illegittimità delle loro richieste e la condanna a restituire quanto indebitamente pagato dai familiari, potrebbero essere superate, se gli stessi enti locali si attivassero per chiedere la reale applicazione del d.p.c.m. 14.2.2001 (atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitari) secondo cui spetta al Servizio Sanitario Nazionale farsi carico del 70 % dell'assistenza socio-sanitaria dei disabili gravi nelle strutture semiresidenziali e residenziali, lasciando ai Comuni il restante 30 %. Questa possibilità è stato anche richiamata dalla recente sentenza 291/2008 del Tar Milano.
Il fatto che gli enti locali si facciano impropriamente carico anche di una parte della cosidetta "quota sanitaria" non può comportare richieste illegittime e profondamente discriminatorie alle persone con disabilità e ai loro familiari.
* Avvocato, Servizio Legale di LEDHA