A pił di un mese dall'inizio dell'anno scolastico situazione degli studenti con disabilitą resta ancora molto difficile. Un commento di LEDHAScuola.
Bisognerebbe chiedere in questi giorni agli studenti con disabilità come stanno a scuola, a orario ridotto dopo un mese dall’inizio delle lezioni o, peggio ancora, a casa mentre i loro compagni frequentano regolarmente. Purtroppo però molti di questi alunni non parlano e, se i loro genitori non urlano i loro problemi, ben pochi vi prestano attenzione. Perché ancora i loro non sono considerati i problemi di tutti, ma quelli di una categoria a parte, per cui si dice che la collettività spende molto, senza ottenere risultati all’altezza delle risorse investite.
Tra gli addetti ai lavori, tra coloro che si occupano di inclusione si parla spesso, ma alle parole poi non seguono i fatti. Gli alunni con disabilità sono per lo più confinati nelle aule di “isolamento” (perché sono tali le aule di sostegno, dove si confinano gli alunni con disabilità con i “loro” insegnanti di sostegno) e la scuola, da luogo che dovrebbe formare e preparare all’ingresso nella società, diviene luogo di separazione ed esclusione, dove sconforto e senso di impotenza si sostituiscono a concetti preziosi come collaborazione e alleanza.
Dell’assenza dei nostri figli a scuola in questi giorni, per via del trasporto per molti non ancora attivato, della loro permanenza a scuola spesso solo per poche ore, se ne è accorta solo qualche testata giornalistica o qualche trasmissione radio-televisiva. Che, nelle pagine interne o negli spazi a diffusione regionale, dedicano ritagli di attenzione ai problemi di questi bambini e ragazzi, anche grazie a qualche dirigente scolastico “coraggioso” che ha alzato la voce per protestare. Casi che sembrano isolati e invece sono tantissimi. Ma la maggior parte dei dirigenti scolastici, ora investiti di grandissimo potere con la legge della “Buona Scuola”, per lo più tace o si limita a chiamare gli uffici preposti a erogare questi servizi. Accontentandosi della solita risposta: “Non abbiamo i fondi”. Le associazioni delle famiglie non sembrano avere forza sufficiente per reagire e occorrerebbe un coordinamento realmente incisivo che dia voce a quella che si presenta ormai come un’aperta violazione del diritto allo studio. Così accade che sempre più famiglie, anno dopo anno, fallito ogni tentativo di far valere il diritto all’inclusione dei propri figli, si trovano costrette ad adire le vie legali perché i vincoli di bilancio e la contrazione delle risorse non possono e non devono pregiudicare la capacità di una persona con disabilità di costruire il proprio futuro, a partire dalla scuola, in condizioni di pari opportunità.
Se si ragiona sempre e solo con la logica dell’emergenza, il problema di alunni e studenti con disabilità in questo inizio di anno scolastico è la mancanza di docenti specializzati per il sostegno, la mancanza di di assistenti all’autonomia e alla comunicazione, l'assenza del trasporto, qualche volta assistito, tra casa e scuola, la mancanza di piena accessibilità (non solo di luoghi e strutture, ma anche di ausili e materiale didattico).
Qual è allora l’attuale ed ennesima “emergenza”?
Gli insegnanti di sostegno? Sono stati assegnati in numero insufficiente rispetto al bisogno? Non solo: semplicemente non ci sono abbastanza insegnanti specializzati! Molti di questi non si sono presentati nelle scuole dove hanno ottenuto un posto di ruolo con la “Buona Scuola” per il corrente anno scolastico e hanno chiesto l’assegnazione provvisoria (per motivi di salute o per motivi familiari) nella regione di provenienza. Per l’anno prossimo? Si vedrà.
Altri hanno preferito già negli anni scorsi abbandonare una professione per cui si erano specializzati, con notevoli fatiche e un esborso economico non indifferente, scegliendo dopo cinque anni di “ferma” obbligatoria, di andare ad insegnare nei posti comuni.
Alcuni insegnanti di classe, in Sicilia e Sardegna, hanno ottenuto invece questa estate per contratto sindacale la possibilità di tornare nelle loro zone di provenienza e rendersi disponibili ad insegnare ai ragazzi con disabilità, senza alcuna specializzazione, pronti a seguire l’ennesimo breve corso di aggiornamento, che dovrebbe dare loro gli strumenti per svolgere questo delicato compito.
Sembra proprio che di questi tempi il lavoro di insegnante di sostegno sia preso in considerazione per lo più solo dai docenti di ruolo non specializzati come soluzione temporanea e sia apprezzato solo da giovani insegnanti, freschi di laurea e di specializzazione. Utilizzato da molti di loro come soluzione obbligata allo stato di disoccupazione, rampa di lancio o scorciatoia verso la professione più ambita e socialmente riconosciuta di docente di classe.
Gli insegnanti di ruolo disposti per convinzione e libera scelta dopo anni di permanenza a rimanere ancora sul sostegno sono infatti ben pochi, anche perché l’isolamento in cui spesso vivono all’interno del corpo docente, l’essere considerati dai colleghi curricolari come insegnanti di serie B non titolati alla gestione della classe e la condizione di “separazione” che di frequente condividono con i loro allievi con disabilità mettono a dura prova la loro sopravvivenza professionale. Per quelli che ancora ci credono e intraprendono il mestiere di insegnanti di sostegno per solide motivazioni (interesse umano e scientifico, attitudine, iter formativo, aspetti caratteriali…) spesso la strada, pur lastricata di buone intenzioni, è impervia.
Ma che ne è degli alunni con disabilità, che dovrebbero essere i destinatari privilegiati degli interventi in materia di inclusione scolastica? Avranno spesso un nuovo insegnante di sostegno rispetto all'anno precedente, in certi casi lo cambieranno nel corso dell’anno scolastico all’arrivo dell’avente diritto più in alto in graduatoria o per le dimissioni del supplente di turno. E ogni nuova figura di riferimento dovrà ripartire da zero nella conoscenza degli alunni e nell’individuazione di strategie didattiche e modalità di insegnamento le più adatte alla situazione specifica. E i mesi passano. Nel frattempo magari gli alunni si saranno affezionati a uno di loro, a una persona che dopo pochi mesi se ne va e che comunque a giugno nella maggior parte dei casi scomparirà dalla loro vita.
Quasi quarant'anni fa, la Legge 577 del 1977 delineava in modo ben diverso la “professione” dell’insegnante specializzato, inserendola in un contesto cooperativo che in ben pochi casi si è realizzato: collaborazione di tutti gli insegnanti, compresi quelli di classe, alla stesura e all’attuazione del Piano Didattico Individualizzato (PEI), “attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della classe oppure di classi diverse”, integrazione specialistica, servizio socio-psicopedagogico e “forme particolari di sostegno, secondo le rispettive competenze, dello Stato e degli enti locali preposti”.
L’insegnante di sostegno era, nelle intenzioni del legislatore, solo una delle risorse messe in rete dalla scuola per assicurare l’integrazione scolastica che, per sua stessa natura, investe tutto il contesto scuola e lo travalica interessando anche l’extrascuola, ovvero l’ambiente familiare e in senso lato sociale in cui pure tutti gli alunni tessono poco alla volta relazioni e apprendono comportamenti e abilità.
Discorso analogo per gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, collocati nella gerarchia del riconoscimento sociale delle professioni in ambito scolastico in un livello ancora inferiore a quello del docente di sostegno, pur avendo analoghi requisiti per accedere alla professione ed avendo un ruolo chiave nell’acquisizione da parte dell’alunno/studente con disabilità di autonomie personali e sociali, nella conoscenza di sé e dell’altro, nella facilitazione della relazione nel contesto di apprendimento (con i docenti e con il gruppo dei pari), nell’acquisizione di un metodo di studio efficace e nell’uso di ausili.
Dagli anni della crisi questa figura così importante, altro tassello fondamentale dell’integrazione scolastica delle persone con disabilità, è stata oggetto di conflitti in merito all’Ente al quale attribuire competenze e onere economico dell’intervento. Dal 2013, a seguito di vari contenziosi legali, la responsabilità è stata confermata per le scuole inferiori in capo ai Comuni, per le scuole superiori (secondaria di primo e secondo grado) e per l’assistenza alla comunicazione nelle scuole di ogni ordine e grado proprio alle Province. Che però sono state destinate a un progressivo smantellamento dalla legge Delrio (L.56/2014) e alla completa estinzione dalla prossima riforma costituzionale.
La situazione si è tanto ingarbugliata che nella Legge di stabilità del 2016 il Governo ha deciso di passarne il carico alle regioni che non avessero preso disposizioni legislative in merito. La Lombardia nel 2015 ha riconfermato, con due leggi regionali, la competenza dell’assistenza educativa e dell’assistenza alla comunicazione alle Province e alla Città Metropolitana, ma i finanziamenti regionali per questi servizi sono fermi al 2015 e gli Enti di area vasta, in situazione di predissesto finanziario, minacciano di restituire le deleghe alla Regione.
La Regione dal canto suo rimbalza la palla allo Stato, che solo a partire dall’estate del 2015, sembra essersi accorto del problema (relativo alle competenze e soprattutto ai fondi) tamponando la situazione disastrosa che si andava creando nelle province con un finanziamento di 30 milioni per il 2015 e uno di 70 milioni di euro per il 2016 che – assicurano ai piani alti - verrà erogato a breve e basterà a malapena a finanziare gli interventi di assistenza educativa e assistenza alla comunicazione fino a fine dicembre. Per il trasporto, intervento ancora più negletto, tutto sembra rimandato al 2017. Ma cosa avverrà a gennaio, quando saranno finiti anche i finanziamenti statali?
Il risultato di tale caos istituzionale dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti, ma così non è. Ai piani alti della politica, dove arrivano solo i brusii della protesta, c’è calma piatta: parlare di studenti con disabilità e dei loro bisogni non è evidentemente un argomento cui dedicare tempo, energie e ulteriori investimenti. Non è un tema per cui progettare un intervento strutturale, definendo una volta per tutte competenze e risorse, senza ritrovarsi ogni anno a dover ricominciare tutto daccapo. Ma intanto quaggiù sta venendo meno qualcosa che difficilmente si rigenera: la fiducia nelle Istituzioni.
LEDHA Scuola
Milano, 17 ottobre 2016