Giovanni Merlo ci propone alcune riflessioni sulle indicazioni contenute nella dgr 2989 “Determinazioni in ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2015″.
Cosa si devono aspettare le persone con disabilità dall’attuazione della cosiddetta delibera delle ‘Regole 2015′ riguardante la gestione del Servizio socio sanitario regionale?
Le premesse, come spesso capita con i provvedimenti regionali di questa Giunta, in materia di welfare sociale, sembrano essere confortanti. Le parole d’ordine infatti sono quelle dell’appropriatezza, dell’integrazione, della presa in carico e della progettazione individualizzata, con il fine “garantire modalità di risposte innovative, valorizzando la qualità e le capacità che la rete di solidarietà regionale esprime nella propria quotidianità (…) e di portare a un sistema sempre più attento ad assicurare risposte qualitative e appropriate ai bisogni”.[1] Entrando nello specifico sarà possibile, verificare punti di forza e punti di debolezza, che emergono dalle prescrizioni regionali alle propria Aziende Sanitarie Locali (Delibera delle regole 2015 - dgr 2989/2014).
Cosa dicono le regole in tema di disabilità?
Gran parte delle materie di interesse per le persone con disabilità si ritrovano nell’allegato C (Ambito sociosanitario) ma la prima riflessione riguarda un punto specifico dell’Allegato A (Integrazione sociosanitaria e sanitaria). Si fa riferimento alle iniziative di sviluppo dei servizi di “Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza” (pagina 4), con particolare riferimento alla risposta ai bisogni dei bambini e ragazzi con autismo. In questo passaggio si fa riferimento alla prossima pubblicazione delle Linee guida per la diagnosi, il trattamento e l’assistenza che coinvolgeranno tutti i diversi attori della rete. Un provvedimento atteso che, insieme all’esito delle sperimentazioni in atto (trattate diffusamente nell’allegato C) , dovrebbero consentire all’intero sistema regionale di rispondere in modo finalmente adeguato alle esigenze (ed ai diritti) di questa fascia di persone con disabilità. Un percorso che, pur essendo condiviso con numerose realtà istituzionali e del privato sociale della nostra regione, soffre ancora di un tasso di opacità che le rendono difficilmente valutabili, nei loro esiti. Stupisce, in questo contesto positivo, l’assenza a qualunque riferimento alla necessità di potenziare le risorse a disposizione delle UONPIA, che oggi appaiano non adeguate a fare fronte ai loro compiti istituzionali. Le segnalazioni dai territori ci parlano ancora di tempi lunghi per essere presi in carico e poi accedere ai servizi ed alle prestazioni riabilitative, come di problemi nella fondamentale funzione di supporto ad insegnanti ed educatori impegnati nei progetti di inclusione scolastica. Stupisce ancora che, parlando di bambini e ragazzi con disabilità nulla si dica, in nessun allegato, sulla necessità del’integrazione degli interventi tra Asl e Comuni, oggi molto scarsa, così come dei processi di presa in carico non solo dei “problemi” del bambino ma di quelli dei suoi genitori e dell’intero ambiente che li circonda.
Tematiche che l’Allegato C, in una visione più allargata, riprende e cerca di affrontare. Si conferma una linea di tendenza culturale che intende abbracciare una visione più sociale e meno prestazionistica degli interventi di welfare come si evince dal passaggio iniziale in cui lo stato di salute viene definito come “l’esito delle ‘relazioni’ tra sistemi in cui è inserita la persona (famiglia, ambiente, scuola, lavoro, ecc): fra questi sistemi, la ‘sanità’ e il ‘sociale’ sono quelli per cui l’integrazione è essenziale (…)”. “Presa in carico” e “continuità assistenziale” sono posti come condizioni essenziali per la risposta appropriata ai bisogni delle persone considerate fragili. Il Budget di cura, viene considerato come “lo strumento per garantire la presa in carico globale della persona e della sua famiglia”, con un ampio riferimento alla necessità di potenziare complessivamente le azioni di “care management”.
Ancora una volta però le indicazioni generali stentano a tradursi in indicazioni operative, capaci di precisare il percorso di implementazione, le risorse e gli esiti attesi ma soprattutto ad individuare a chi spetti la responsabilità di avviarne la realizzazione.
La “Delibera delle regole 2015″ non si occupa molto nello specifico di disabilità. Gran parte delle sue prescrizioni riguardano il sistema dei servizi per gli anziani o di altre specifiche situazioni. Il contrasto è però evidente nella precisione con cui questa delibera tratta gli aspetti gestionali ed amministrativi connessi all’offerta dei servizi ed invece la vaghezza che assume quando deve indicare la messa in atto dei processi di presa in carico e i percorsi di reale integrazione sociosanitaria.
Quesiti “preventivi”
Da questo punto di vista alcune indicazioni riguardanti prevalentemente il mondo dei servizi per anziani pongono qualche quesito “preventivo” riguardante il mondo della disabilità. In passato infatti alcuni provvedimenti assunti, ad esempio per le RSA, sono stati poi adottati con poche variazioni anche all’unità di offerta per le persone con disabilità.
E’ legittimo quindi porsi la domanda sulla funzione e natura, in prospettiva dei Centri Multiservizi per la persona, indicati come presidio di garanzia dei percorsi integrati di presa in carico; in particolar modo in relazione con altri luoghi indicati in passato per tale funzione come ad esempio i Cead, i Centri per la famiglia o gli stessi Sportelli Unici per il welfare ma più i generale con i Servizi sociali comunali.
Ci si potrebbe anche chiedere se il principio adottato per definire i costi standard per le RSA sia adeguato per compiere analoghe operazioni per le unità di offerta destinate alle persone con disabilità. Così come maggiori interrogativi pone l’eventuale estensione del “vendor rating” come strumento di valutazione degli enti gestori di servizi residenziali rivolti alle persone con disabilità. Ed infine se l’annunciata liberalizzazione degli accreditamenti per stimolare un effetto concorrenza sia, anche nel campo della disabilità, un efficace strumento per incrementare la qualità di questi servizi.
Quesiti significativi soprattutto quando si pensa che l’offerta di servizi sociosanitari raggiunge oggi, dopo gli ultimi accreditamenti e contrattualizzazione, oltre 11.000 persone con disabilità e drenando gran parte delle risorse della spesa regionale rivolta alle persone con disabilità e, per un effetto di trascinamento, anche delle risorse comunali e familiari chiamate a coprire le cosiddette quote sociali.
Preoccupa in questo senso la definizione dei principi a cui si fa riferimento per definire l’appropriatezza degli interventi, che sono precisati sia nel paragrafo dedicato alle attività di vigilanza e controllo che, indirettamente in quello dedicato al funzionamento del “vendor rating”. I parametri utilizzati infatti richiamano da un lato la coerenza e congruità intrinseca tra le informazioni documentali e gli interventi, sempre per come risultano dai fascicoli personali. Dall’altro il rapporto di carattere “economico” tra minuti di assistenza, presenza di personale qualificato (in ambito sanitario), rette e saturazione dei posti disponibili.
Gli esiti nella vita delle persone, come in quelle dei loro ambienti familiari e sociali, quando “si fanno i conti” sembra non interessare più, forse anche solo perché sembra troppo difficile da calcolare.
In fase di presentazione della delibera, è stata dichiarata l’intenzione di rivedere complessivamente il sistema delle unità di offerta destinato alle persone con disabilità. Di questa previsione non si riscontra traccia nella delibera. La speranza è che questo percorso venga invece avviato aprendo spazi di confronto e di riflessione per spingere questa imponente rete di realtà e competenze ad indirizzare le proprie energie più verso l’inclusione sociale e meno alla custodia assistenziale.
Articolo già pubblicato su LombardiaSociale.it