Una valutazione della X legislatura sulle politiche regionali in tema di disabilità a cura di Giovanni Merlo.
Anche nel mondo della disabilità, la nuova legislatura regionale, si è aperta con un carico di aspettative e curiosità connesse al radicale cambio di direzione, politica ed amministrativa, dell'Assessorato alla Famiglia. A distanza di poco più di un anno e mezzo dall'avvio della legislatura, si registrano le prime sorprese, come le prime perplessità, in un quadro ancora ampiamente in movimento.
Il punto di partenza
Il modello di welfare sociale, promosso dalle Giunte Formigoni è ancora oggi di fatto quello vigente. Come già più volte analizzato, ha avuto come esiti da un forte incremento della capacità di risposta complessiva del sistema socioassistenziale e sociosanitario lombarda, al prezzo di una sua forte sanitarizzazione. Un processo che ha comportato il rafforzamento dei processi di esclusione sociale delle persone con disabilità, una ulteriore frammentazione dei servizi, una "dis-integrazione" sociosaniaria, e il mancato sostegno sistematico a quell'insieme di interventi, alternativi all'istituzionalizzazione ed a sostegno della vita indipendente.
Un modello di intervento che, già da alcuni anni, mostra segnali di difficoltà in termini di esiti nella qualità della vita delle persone prese in carico, a cui viene garantita una buona assistenza ma una scarsa dimensione relazionale e sociale: problemi e criticità che riguardano anche la stessa sostenibilità economica del sistema. A questi problemi, la precedente gestione regionale ipotizzava di rispondere radicalizzando il modello di welfare basato sulla libera scelta, come elemento regolatore del mercato, introducendo in luogo delle diverse forme di voucher oggi attivi, una unica dote welfare spendibile in modo sostanzialmente libero in un mercato dei servizi sociali sostanzialmente liberalizzato.
Le prime affermazioni
La nuova dirigenza regionale si affaccia al suo nuovo incarico dovendo governare un sistema molto ampio e complesso, i cui elementi di criticità sono già evidenti, proponendo una lettura differente della situazione e individuando quindi ipotesi diverse di soluzione.
Sin dai primi atti, emerge con forza il tema della presa in carico globale e dell'integrazione sociosanitaria, ovvero due degli elementi che le precedenti amministrazioni avevano dichiaratamente sacrificato mettendoli in contrapposizione con l'esercizio della libertà di scelta del servizio da parte del cittadino/utente. Nei documenti di programmazione regionali questa contrapposizione viene superata: non si prevede una radicale discontinuità ma una qualche forma di rafforzamento del sistema di welfare regionale, prevedendo accanto a nuovi servizi ed interventi, una nuova modalità di relazione con le persone con disabilità e quindi di regolazione della rete.
Ulteriori elementi di novità sono rappresentati dalla previsione di un deciso incremento di risorse (fino a 330 milioni di Euro di cui 150 dedicati alle persone con disabilità) che pur finalizzati ad interventi di carattere sociosanitario, prevedono il coinvolgimento attivo del territorio, comprendendo non solo le singole Asl ma anche le amministrazioni comunali, fino a quel momento non particolarmente considerate.
Punti di attenzione che non mettono in discussione l'attuale assetto dei servizi per la disabilità ma che, anche nelle parole pubbliche espresse in incontri e riunioni, dovrebbero aprire la strada ad un evoluzione complessiva del sistema di welfare.
Il passaggio dalla parole ai fatti sembra avvenire con la Dgr 329, che prevede interventi a sostegno delle persone con autismo, e soprattutto con la Dgr 740 che indica le modalità di riparto ed utilizzo del Fondo per la Non Autosufficienza in favore delle persone con disabilità gravi e gravissime.
In entrambi i casi, al di là degli specifici interventi, si presenta e si indica un concetto di presa in carico che non equivale più al semplice inserimento in un servizio ma richiama l'idea di presa in carico globale ed integrata così come prevista dalla legge 328/00 (art. 14), dai LEA (Art. 4 comma 3 Decreto 14.2.2011) la cui attuazione è stata richiesta a più riprese dalle associazioni.
Appare quindi in qualche modo naturale che le prime affermazioni ed i primi atti della nuova Giunta regionale in materia di welfare sociale abbiano suscitato positive, anche se prudenti, reazioni da parte di molte persone con disabilità e delle loro associazioni che attendevano da temo una svolta nell'approccio regionale alla disabilità in una direzione meno sanitaria e più sociale.
L'aspettativa era che le azioni conseguenti a queste due delibere, in particolare quella relativa al Fondo per la Non Autosufficienza, mettessero in moto cambiamenti significativi nella capacità di presa in carico pubblica della persone con disabilità e delle loro famiglie, favorissero una reale collaborazione tra Asl e Comuni, orientassero le risorse alla realizzazione dei progetti e delle ambizioni delle persone
A distanza di un anno da questi primi provvedimenti è quindi lecito interrogarsi sugli effetti che questi atti hanno determinato e sull'investimento di fiducia che avevano a suo tempo generato.
Le promesse mantenute
Abbiamo visto come tra gli aspetti salienti la nuova programmazione sociale comparisse una promessa di incremento delle risorse disponibile ed una maggiore attenzione al territorio. Pur in mezzo ad alcune difficoltà, queste attese sembrano essere state sostanzialmente mantenute. Il flusso di risorse destinate al welfare sociale è stata sostanzialmente incrementato e l'area della disabilità è tra quelle che ne ha certamente beneficiato. Il Fondo Regionale per la Famiglia è ben lontano dalla dotazione prevista, ma nel 2013 ha portato con sé in dote 50 milioni di Euro, divenuti 80 nel 2014. Risorse che sono state gestite coinvolgendo più che in passato i territori, in particolare i Comuni, a cui sono stati destinati in modo integrale i trasferimenti statali. Ai Comuni viene proposto di attivare nuove relazioni e collaborazioni con le Asl, in materia ad esempio di valutazione del bisogno. Grazie a queste condizioni gli enti locali hanno visto complessivamente crescere le risorse disponibili: una tendenza ulteriormente confermata dalla notizia del ripristino ai livelli del 2013 del Fondo Sociale Regionale. Non è un caso che, nel corso del 2014, non si registrino particolari segnalazioni di tagli agli interventi sociali destinati alle persone con disabilità che avevano invece contraddistinto gli anni precedenti.
Tra gli esiti positivi di questo primo scorcio di legislatura non possiamo non far emergere la capacità dell'azione regionale di ampliare in modo consistente la platea dei beneficiari e della loro composizione e, tra questi anche l'individuazione di molte persone con disabilità sconosciute alla rete dei servizi. Un risultato solo in parte connesso all'incremento delle risorse disponibili e dovuto all'impronta dichiaratamente universalistica data all'utilizzo del Fondo per la Non Autosufficienza (DGR 740), almeno per quanto riguarda i progetti di intervento rivolto alle persone definite con disabilità gravissima.
Le attese ... che restano in attesa!
A fronte di questi importanti risultati, non si registrano significativi passi in avanti nel processo di riforma del modello di welfare che è invece rimasto sostanzialmente immutato.
Forse è anche una questione di tempo ma in generale si evidenzia come, le intenzioni e dichiarazioni contenute in alcune Delibere di Giunta Regionale, di promozione della funzione di presa in carico globale ed integrata, si siano scontrate, in fase di applicazione, con una serie di comportamenti non coerenti con tali indicazioni da parte degli attori locali, in particolare le direzioni delle Asl ma anche molte amministrazioni comunali.
Entrando nel merito di alcuni provvedimenti regionali, notiamo innanzitutto che poco o nulla si sa degli esiti dei progetti promossi dalle Asl dalla DGR 392 in tema di autismo, (anche in collaborazione con realtà del terzo settore) per sperimentare processi di presa in carico globale ed integrata. Si conferma così un certo grado di difficoltà della Direzione Famiglia nella gestione di percorsi sperimentali che, proprio per la loro natura, dovrebbero essere facilmente accessibili sia nelle loro premesse che nei loro esiti. Le ripetute rimostranze dell'insieme delle associazioni delle persone con autismo attive in Lombardia sulla mancata integrazione sociosanitaria negli interventi in favore delle persone con autismo, non sembrano comunque deporre a favore di esiti particolarmente significativi in termini di innovazione nel funzionamento del sistema dei servizi.
Molte sono invece le informazioni disponibili in merito all'attuazione della DGR 740 che, nel disporre l'utilizzo delle risorse del Fondo per la Non Autosufficienza prescriveva un processo di presa in carico globale ed integrato tanto alle Asl quanto ai comuni. Un processo quasi completamente ignorato dagli attori territoriali che si sono mossi a diverse velocità (prima le Asl e poi i comuni - si veda articolo dedicato) che non hanno sostanzialmente messo in opera quanto previsto dalla stessa delibera, sia rispetto alla valutazione multidimensionale del bisogno quanto alla progettazione integrata. Tutto, a partire dalla comunicazione, viene ricondotto all'erogazione del contributo economico e le attività istruttorie vengono di fatto descritte e realizzate, non in funzione dell'orientamento delle successive azioni, ma come semplice attività "certificatoria" per determinare gli aventi diritto o in funzione del loro stato di salute o della capacità di spesa.
Visto con gli occhi degli esiti, che sono poi gli occhi dei beneficiari, il sistema non sembra essere soggetto a cambiamenti profondi ma ad una serie di manutenzioni che, nel caso specifico hanno comunque determinato, come già detto, il consistente ampliamento delle persone con disabilità coinvolte, alcune delle quali fino ad allora sconosciute alla rete dei servizi sociali.
Novità e cambiamenti che non hanno scalfito, almeno per il momento, l'impianto complessivo del modello di welfare regionale, che attraverso la rete di unità di offerta sociosanitarie e socioassistenziali ha in carico quasi 20.000 persone con disabilità.
Questa rete di servizi ancora oggi, in continuità con le gestioni precedenti, viene sottoposta ad una serie di sollecitazioni per favorirne l'efficienza, intesa in senso economico e gestionale. Vanno lette in questa direzione, ad esempio, le nuove regole sul trattamento economico del cosiddetto vuoto per pieno tese a contrastare un fenomeno di dispersione delle risorse, senza interrogarsi profondamente sul significato di quei giorni di "assenza" dal servizio per la qualità e dignità della vita delle persone coinvolte.
Deficit di programmazione o deficit di riflessione?
I punti critici erano in realtà in qualche misura pre-annunciati. Ciò che è mancato è la consapevolezza che il passaggio da un sistema basato sui libertà di scelta e sui voucher ad uno basato sulla presa in carico ed il budget di cura, per essere reale non potesse essere semplicemente pre-scritto sul testo di una delibera. Sarebbe stato necessario prevedere una serie di azioni di carattere informativo e formativo, dalla predisposizione di strumenti di lavoro, dalla stesura e diffusione di linee guida, da un monitoraggio e anche controllo stringente non sul rispetto di procedure burocratiche ma sui contenuti delle iniziative e dei progetti e sui loro esiti. Attività ed azioni da predisporre con cura e da verificare in itinere, creando le condizioni affinché il flusso di informazioni sull'andamento reale delle iniziative possa essere consistente e circolare, coinvolgendo tutti gli attori del sistema.
Accanto a questo deficit nella fase di pianificazione emerge nei primi passi della nuova amministrazione regionale un ulteriore limite, che si potrebbe definire "di riflessione", che riguarda proprio l'area della disabilità.
Man mano che le parole utilizzate negli atti regionali convergono con quelle utilizzate da chi ha una visione prettamente sociale della disabilità, si rende sempre più evidente una difficoltà che non appartiene certo ai soli uffici regionali.
Non viene, per il momento, raccolta la sfida di interrogarsi in maniera radicale sulla natura stessa del fenomeno disabilità, sulla rappresentazione che accettiamo e che quindi riflettiamo. In altre parole il passaggio da una visione sanitaria ed assistenziale della disabilità ad una più schiettamente sociale sembra ancora non compiuto, in Regione Lombardia, intesa tanto come istituzione che come territorio e comunità.
Questo "deficit di riflessione" rende forse più evidenti le successive difficoltà ad implementare scelte politiche che da questa visione sociale della disabilità discendono, come quella che propugna il diritto alla vita indipendente ed all'inclusione sociale che potrebbe essere garantita attraverso la presa in carico globale ed integrata e l'utilizzo de Budget di salute.
Ma proprio forse questa maggiore evidenza dello scarto tra le affermazioni valoriali, i risultati auspicati ed i risultati fino ad ora raccolti potrà rappresentare lo stimolo maggiore a curare con maggiore attenzione gli aspetti connessi all'implementazione di politiche sociali finalizzate al riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità.