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7 Novembre 2014

LEDHA commenta il Libro Bianco della Regione

Giovanni Merlo ci illustra positività e criticità dal punto di vista delle associazioni delle persone con disabilità.

Le affermazioni coraggiose del Libro Bianco

Quali conseguenze dal passaggio "dalla cura al prendersi cura"?

Merito del Libro Bianco è di presentare anche gli esiti problematici del modello di welfare lombardo. In fondo lo slogan "Dalla cura al prendersi cura" è una modalità efficace dal punto di vista comunicativo per mettere in evidenza queste criticità.
In diversi passaggi si legge infatti come il modello basato sul cosiddetto quasi mercato delle prestazioni sanitarie, quello per cui la persona - utente debba scegliere liberamente e con meno vincoli possibili da chi farsi curare, non funzioni allo stesso modo nel caso dei servizi offerti dalla sanità rispetto a quelli del comparto sociosanitario: "quando invece il paziente è cronico e va preso in carico lo strumento non funziona più altrettanto bene (...) La normativa è vecchia di diciassette anni e si fonda su un modello ospedaliero da superare. (p.10)". Viene evidenziato in particolare come questo sistema che paga (e quindi premia) la capacità di erogare prestazione, si basi su "la competizione tra soggetti erogatori (...) è però anche potenzialmente pericolosa perché rischia di tradursi in una generazione di domanda inappropriata (p.22)". Tra le conseguenze negative viene infine anche indicata (p. 88) la "frammentazione dell'attuale offerta sociosanitaria e sociale sul territorio" ed in particolare il fatto che "non sia sempre rintracciabile una chiara azione di regia complessiva" e che non si "risponda in modo integrato ai bisogni complessivi dell'utenza", mettendo in relazione questi problemi con la "marginalizzazione del ruolo dei Comuni".
Le affermazioni "coraggiose" si traducono in proposte, in particolare nell'enunciazione di alcuni obiettivi presentati nell'Allegato che presenta le proposte di sviluppo dell'Assistenza Territoriale, realizzato dalla Commissioni Sviluppo Sanità. Oltre a riprendere alcuni dati ed indicazioni del Libro Bianco, l'allegato individua come obiettivo (p. 5) "garantire ai cittadini una presa in carico reale e continuativa, in tutte le fasi e momenti del proprio percorso diagnostico - assistenziale - terapeutico, in ambito socio-sanitario-assistenziale. In questa direzione le linee guida delle proposte di sviluppo (p.6) prevedono la presa in carico globale dell'individuo e della famiglia (valutazione multidimensionale, unitarietà dell'intervento, progetto personalizzato), in modo che sia "attiva" (con un preciso riferimento alla promozione dell'empowerment della persona), in luoghi che siano "prossimi" e di facile accesso, e con interventi misurabili, valutabili ed integrati.
Si tratta di analisi e proposte che da tempo il mondo associativo delle persone con disabilità e numerose organizzazioni di terzo settore hanno presentato all'attenzione del dibattito pubblico e della stessa Regione Lombardia. Analisi e proposte che per lunghi anni non sono state prese nella dovuta considerazione dall'Amministrazione Regionale e che invece negli ultimi anni hanno trovato spazio, seppure con accenti diversi, in alcuni documenti ed atti regionali, a partire dal Piano di Azione Regionale sulla Disabilità, ma anche e con maggior forza nei primi atti della nuova Giunta Regionale (Piano Regionale di Sviluppo, DGR 116, DGR 740, ...).
Atti che, almeno per il momento, non sembrano aver scalfito un modello di intervento che rimane fortemente sanitario, anche quando si occupa di persone con disabilità che, al contrario, avrebbero bisogno e diritto ad interventi finalizzati alla vita indipendente ad all'inclusione nella società.


Le parti carenti del Libro Bianco

E' possibile cambiare modello di welfare senza mettere in discussione quello precedente?

Di fronte a questa distanza tra parole e fatti, una parte rilevante del mondo della disabilità tendono a valutare questi atti e documenti come sostanzialmente ininfluenti, composti da parole che appaiono ormai depotenziate se non addirittura vuote mentre la realtà dei servizi, sembra seguire un corso ormai dotato di vita propria, determinato dalla carenza di risorse e dalla necessità di offrire sempre più prestazioni a costi sempre minori.
Una ipotesi da non scartare ma, come già evidenziato in altri commenti, è importante sottolineare che la difficoltà ad implementare un modello di welfare meno sanitario e più sociale, siano connesse anche alla debolezza di alcune affermazioni contenute in questi documenti da cui poi derivano i diversi atti applicativi. Nel caso del Libro Bianco, salta subito all'occhio come, a fianco della presentazione degli aspetti critici del welfare regionale, vengano ribaditi i principi costituenti l'attuale impianto delle politiche sociali lombarde, "I punti cardine da confermare: libera scelta e pluralismo dell'offerta (p.10)."
Ovviamente non si tratta di mettere in discussione la possibilità per ogni persona di poter scegliere da chi "farsi prendere cura" né tantomeno la possibilità delle realtà sociali di promuovere e gestire iniziative e servizi. Si scorge però una fatica ed una "resistenza" a prendere atto che sia stato proprio l'aver posto la libertà di scelta e la concorrenza tra enti gestori come pilastri fondamentali del welfare, a determinare i problemi di sanitarizzazione di interventi a forte valenza sociale, la loro frammentazione e deriva prestazionistica e la marginalizzazione del ruolo dei Comuni ed in generale del territorio.
Si tratta di una questione culturale che non è solo "teorica" e che ha forti implicazioni concrete.
Un primo problema sta nella continua riduzione della "libertà" della persona rispetto alla scelta del servizio da cui farsi prendere cura: "L'applicazione di questo modello sostanzia la libertà di scelta (p.16)". E' stato già più volte messo in evidenza come questa facoltà se non è preceduta ed accompagnata da un processo di ascolto e di empowerment della persona, si riduce a ben poca cosa. Gli esperti definiscono questo come un "diritto di exit", ovvero un diritto di uscita dal servizio nel caso non corrisponda alle proprie aspettative. Nella realtà delle persone con disabilità non si "esce" proprio da nulla: si entra in un servizio che si è più o meno scelto e lì vi si rimane per lunghi anni se non per tutta la durata della propria vita. Quello che anche lo stesso Libro Bianco implicitamente ammette è che si tratta di un sistema che comprime il "diritto di voice", cioè la possibilità che sia la "voce" (il punto di vista, le aspirazioni, i desideri, i progetti, ...) delle persone con disabilità a determinare tanto gli interventi sociali, educativi ed assistenziali quanto quelli terapeutici e riabilitativi. Quello che il Libro Bianco non riesce a compiere è una radicale messa in discussione di questo modello, premessa per un suo superamento ed evoluzione. E' del resto un modello che "da diciassette anni" è sistema, sui cui presupposti sono stati investite risorse economiche ed umane, realizzate nuove strutture, formati operatori, coinvolti volontari e familiari. Un sistema che comunque garantisce un certo livello di benessere a diverse migliaia di persone con disabilità e con cui bisogna fare i conti.

Il secondo problema, connesso ovviamente al primo, è che non viene mai esplicitato e quindi messo in discussione a cosa questi servizi servano, cosa debbano fare, quali risultati debbano raggiungere. Non essendoci mai un riferimento esplicito alla situazione specifica delle persone con disabilità, bisogna prendere atto come, anche nel caso dei servizi per le persone con disabilità la "valutazione e controllo (...) strumento di governo dell'efficienza e dell'efficacia (...) comprende anche il controllo su come la domanda è soddisfatta e su come le persone sono accudite adeguatamente, nei limiti delle loro attese (p.10)". Si tratta certo di un passo in avanti rispetto al controllo dei soli parametri oggettivi necessari per ottenere accreditamento e contratto (su cui si basa ancora oggi gran parte del lavoro di valutazione delle Asl) ma il perimetro dei servizi, anche quelli delle persone con disabilità, rimane confinato in quello dell'assistenza e della custodia. Purtroppo della "nuova" appropriatezza che le associazioni reclamano, quella che promuove la vita indipendente e la piena inclusione nella società non si trova mai traccia nel Libro Bianco, nonostante non sia certo un argomento nuovo, per l'Amministrazione Regionale che sul tema ha già sviluppato una serie di iniziative. Una considerazione che trova conferma nel mancato riferimento a qualunque valutazione critica sul funzionamento dell'attuale filiera dei servizi sociosanitari per le persone con disabilità che, nel paragrafo dedicato all'Assistenza territoriale sociosanitaria (p. 50) viene semplicemente descritto senza mettere appunto mai in risalto come si tratti di un sistema sostanzialmente bloccato, in cui si entra ma non si esce se non per motivi anagrafici, capace di offrire buona assistenza e buona custodia ma senza prospettive di partecipazione alla vita della società e di reale autonomia.
Una difficoltà a "fare i conti" con le criticità causate dalla scelte delle precedenti amministrazioni che possiamo riscontrare anche quando si affronta un tema considerato tipicamente sanitario, come quello della riabilitazione (p.78), dove a fianco di affermazioni condivisibili che fanno riferimento al "modello ICF", manchi una visione critica delle attuali proposte riabilitative per le persone con disabilità, ancora orientate al semplice recupero funzionale piuttosto che ad una visione bio-psico-sociale della persona.
Anche nel campo strettamente sanitario, che assorbe in realtà gran parte delle pagine del documento, non si trova traccia dei problemi di accesso alle cure di base, sia di carattere ambulatoriale che di quello ospedaliero che riguardano molte persone, in particolare ma non solo, con disabilità intellettive e relazionali. Non si trova riferimento all'esperienza del DAMA, presso l'ospedale San Paolo di Milano, e delle altre più recenti analoghe iniziative assunte a Mantova e Varese. Soprattutto non si trova più alcun accenno al programma annunciato dal Piano di Azione Regionale (dicembre 2010), di estendere questa opportunità in tutti i territori della Regione, prevedendo almeno 1 "Dama" per ogni Asl.
Manca infine ogni riferimento e previsione al presente e futuro delle Unità Operative di Neuro Psichiatria Infantile, che sono attualmente in capo alle Aziende Ospedaliere. Si tratta di un servizio cruciale per la presa in carico ma per il destino stesso di migliaia di bambini e ragazzi con disabilità in Lombardia. Un sistema di servizi che stenta sempre più a fare fronte alla quantità di richieste ed alla complessità di situazioni che bussano alle loro porte, e quindi di offrire sempre in modo puntuale ed adeguato il sostegno dovuto ad esempio ai processi di inclusione scolastica e sociale.

 

I problemi metodologici

Per sostenere i cambiamenti è sufficiente modificare l'organizzazione?

Come viene definito dallo stesso Libro Bianco (e come in effetti è stato riportato da gran parte delle testate giornalistiche) il "cuore della proposta" è quello contenuto dalle "Ipotesi di riordino" (p.13) che prevede il superamento dell'attuale organizzazione del sistema sociosanitario (ASL, Aziende Ospedaliere, Medici di Medicina Generale, ...) verso un sistema che preveda l'istituzione di nuove e più grandi ASL (Agenzie Sanitarie Locali deputate alla programmazione), delle ASI (Aziende Integrate per la Salute, destinate all'erogazione delle prestazioni) a loro volta composte da un Polo territoriale (prestazioni a bassa intensità e di prevenzione) e da un Polo ospedaliero (prestazioni in acuzie).
E' sul livello territoriale che ci si aspettano le maggiori novità, il famoso passaggio dal curare al prendersi cura, con l'istituzione di Poli ospedalieri territoriali (ricoveri medici a bassa intensità, subacuti, day hospital, ...) e di Centro Socio Sanitari Territoriali (CSST), coincidenti con gli attuali distretti che dovrebbero, tra le altre cose, promuovere interventi di natura sociosanitaria e sociale, con una maggiore partecipazione e peso dei Comuni nella fase di programmazione. Ambiti territoriali i cui confini sembra che possano essere oggetto di revisione (p. 101) "per assicurare efficacia ed efficiente integrazione degli interventi sociali e sociosanitari" anche se non è chiarito in quale direzione avverrà questa riorganizzazione.
Quello che si stenta a comprendere è in che modo da questa ri-organizzazione delle funzioni e dei compiti dei diversi attori in gioco si possa arrivare al raggiungimento di alcuni "Risultati attesi" (p. 17) primo fra tutti il "Maggior protagonismo delle persone".
I cambiamenti attesi da un punto di vista organizzativo e gestionale vengono descritti in modo sufficientemente chiaro, seppure sommario data la tipologia di documento, tanto da poter essere realisticamente implementati.
I risultati in termini di cambiamenti del modo di operare dei diversi attori in gioco nell'accesso ed erogazione dei servizi vengono invece semplicemente annunciati, senza una previsione di percorso che possa prevederne la reale attuazione.
Ancora una volta il programmatore regionale lombardo fatica, in particolare quando si parla di servizi sociali e sociosanitari, a definire con sufficiente chiarezza non solo l'obiettivo generale, ma anche i risultati specifici, in qualche modo misurabili, attuabili e realistici in un tempo almeno a grandi linee definito.
La semplice enunciazione dei risultati attesi consente al Libro Bianco di non approfondire le motivazioni, prima di carattere culturale e quindi di carattere organizzativo, che hanno causato le tante situazioni critiche che pure sono state messe in evidenza. Situazioni che, di fronte al cambiamento annunciato, tenderanno a riproporsi, adattandosi ai cambiamenti formali richiesti ma non certo mettendo in discussione le proprie pratiche consolidate e rassicuranti.

 

Conclusioni

Le domande a cui è difficile trovare risposta

Come fare a "convincere" un responsabile di una unità di offerta sociosanitaria per persone con disabilità che la sua organizzazione deve lavorare con la prospettiva dell'inclusione sociale delle persone che ha in carico, se fino ad ora è stata premiata solo la custodia e l'assistenza?
Come fare a convincere un assistente sociale di un Comune a svolgere un ruolo di presa in carico globale e complessivo della persona che va oltre l'individuazione del servizio adeguato alla persone ed entra nel merito di cosa e come viene erogato il servizio, se fino ad ora le è stato detto che questo non è di sua competenza?
Come fare a convincere i cittadini e le loro organizzazioni di un certo territorio che è diritto di tutte le persone con disabilità di vivere insieme a loro e di avere le loro stesse opportunità e che questo è un bene anche per loro, se negli ultimi anni hanno visto crescere, ingrandirsi ed essere sempre più legittimate strutture dedicate in cui le persone con disabilità "possano stare bene"?
La rivoluzione a cui più volte il Libro Bianco accenna richiede, per essere attesa, immaginata ed attuata qualcosa di più complesso di una seppure ampia riorganizzazione della gestione dei servizi.
Un primo passo potrebbe essere anche solo quello di non considerare più la disabilità come un tema prettamente sanitario e socio - sanitario, ma come una questione sociale. La visione sanitaria della disabilità ha permesso di accedere a risorse maggiori e più certe rispetto ad altri comparti ma il prezzo da pagare, in termini di mancato riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, si sta rivelando molto alto.
La disabilità, deve essere posta come questione che riguarda tutti i settori della vita e quindi tutti i settori dell'amministrazione, anche quando si parla di interventi rivolti a persone considerate "gravi e gravissime" (definizione che non ha più in realtà titolo ad esistere...)1
Sta forse giungendo il momento di ribadire con forza che la globalità e l'integrazione degli interventi rivolti a tutte le persone con disabilità che ne abbiano bisogno, riguardi non solo il comparto sanitario e quello sociale ma anche e soprattutto quello dell'istruzione e dell'educazione, del lavoro, della casa, del reddito, solo per rimanere nell'ambito delle politiche sociali: ma in realtà l'orizzonte deve ampliarsi alla mobilità, allo sport, alla fruizione della cultura, al tempo libero ed alla partecipazione attiva a tutti i momenti della vita sociale.
Questo dovrebbe essere il terreno, il luogo dove sviluppare anche la programmazione degli interventi sociosanitari e socioassistenziali rivolti alle persone con disabilità passando, ad esempio, dalla misurazione dei minuti di assistenza alla individuazione di obiettivi (ovviamente specifici, misurabili, attuabili, realistici in tempi definiti) di vita indipendente ed inclusione nella società.

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