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16 Luglio 2012

Il welfare che non c'è

Tagli, tagli e ancora tagli allo “stato sociale”: dal 2008 al 2011 i fondi per le politiche sociali sono stati ridotti del 90% e il fondo per la non-autosufficienza azzerato.

 

Questa la ricetta che, dal 2008 a oggi, i governi che si sono succeduti alla guida del nostro Paese hanno messo in atto nel tentativo di uscire dalla crisi: prima il governo Berlusconi e il ministro Tremonti, ora il governo Monti con una spending rewiew dissennata.

Malgrado l'intervento di Regione Lombardia, che ha reintegrato le risorse per le politiche sociali al livello del 2011, nelle casse dei Comuni lombardi mancano sempre 100 milioni di euro. Un buco causato dai tagli ai trasferimenti agli Enti locali degli ultimi anni.

Ma siamo sicuri che il problema del welfare nostrano sia solo una questione di carenza di finanziamenti? O c'è dell'altro? La verità, purtroppo, è che la cultura delle politiche sociali che si basa ancora su una cultura assistenzialista e caritatevole. Lo stesso ritornello delle politiche per la famiglia è un concentrato di ipocrisia e di non conoscenza dei problemi.

La verità è che con queste politiche si cerca solo di scaricare su questo nuovo soggetto "assoluto" tutta la responsabilità e l'onere dell'assistenza. Non più persone con disabilità bensì famiglie con disabilità. Un sistema che si basi sui diritti umani e sulla dignità delle persone è ancora molto lontano.

Se poi ci addentriamo nei meandri del welfare lombardo emergono altre criticità. In primis un'insopportabile, ingiusta e anti-economica frammentazione del sistema. Dobbiamo poi fare i conti con una cultura "sociale" che, quando affronta il tema della disabilità, si basa su una diversificazione tra patologie, una rincorsa alla gravità oltre i limiti e un concetto di inclusione al contrario che innesca una logica perversa: per avere diritto all'assistenza, una persona con grave disabilità non deve superare un determinato reddito.

In uno scenario simile, un cittadino con disabilità grave che riesce, ad esempio, a trovare un lavoro e rendersi autonomo economicamente, rischia di perdere il diritto ad alcuni servizi essenziali. Ad esempio i servizi di assistenza domiciliare che, di fatto, permettono di gestire il proprio lavoro.

Patto per il welfare, voucherizzazione del sistema sociale, la famiglia "al centro". Nei vari piani di riforma presentati non c'è nemmeno una parola sulla presa in carico globale, sul superamento di ciò che non ha funzionato nella separazione netta tra ambito sanitario e ambito sociale. Nemmeno una riga sul diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità.

Quando poi si cerca un confronto sulla definizione di Livelli essenziali socio assistenziali la risposta è scontata: "Se non arrivano finanziamenti dal Governo non si parla di livelli essenziali". Peccato che uno strumento di valutazione delle priorità e di definizione dei diritti inalienabili come i Liveas sono ancora più necessari in una situazione di ristrettezza economica come quella che stiamo attraversando. A tutto questo si aggiunge l'aumento del divario percentuale delle spese per posti istituzionalizzanti (ad esempio le Rsd) rispetto agli investimenti su mini comunità, progetti di abitazione solidale, progetti di vita indipendente e così via.

D'altronde viviamo in un Paese dove l'ex ministro del'Economia, Giulio Tremonti,ha potuto dichiarare che la mancata competitività dell'Italia è dovuta ai troppi invalidi. E ha scatenato, attraverso l'Inps, una vera e propria caccia alle streghe nel tentativo di stanare i "falsi invalidi".

Lo stesso Paese dove il ministro del Welfare, Elsa Fornero, può affermare che in Italia il sistema non può continuare a finanziare un crescente numero di persone non autosufficienti. Probabilmente non si è accorta che da due anni il fondo per la non-autosufficienza non viene più finanziato, e per questo ha invocato l'intervento dei privati e in particolare del mondo assicurativo.

Nel Paese dove un direttore di un telegiornale nazionale può indicare un suo collega con disabilità come malato... in un Paese così forse è "normale" che le cose procedano così.

 

Fulvio Santagostini
Presidente LEDHA

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