Questo sito utilizza cookie. Proseguendo la navigazione si acconsente al loro impiego in conformità alla nostra Cookie Policy.
Informativa estesa         

Archivio notizie

14 Novembre 2011

A proposito dell'Ordinanza del Tribunale di Roma sull’accessibilità del trasporto urbano

Oggi, alla luce della lettura del testo completo di quell'Ordinanza, ci pare utile e necessario commentare alcuni passaggi di tale provvedimento. Articolo di Gabriele Favagrossa

Nei giorni scorsi, dalle pagine di questo sito abbiamo commentato a caldo la notizia di cronaca relativa a una importante Ordinanza del Tribunale Civile di Roma, riguardante l'accessibilità della metropolitana e degli autobus capitolini.

Oggi, alla luce della lettura del testo completo di quell'Ordinanza, ci pare utile e necessario commentare alcuni passaggi di tale provvedimento - anche a parziale rettifica di quanto riportato nei giorni scorsi da alcuni articoli di stampa - riprendendo qui anche alcune considerazioni da noi già esposte sul portale Superando.it.

Rispetto ai principi generali che sancisce e alle motivazioni che esplicita, l'Ordinanza ci pare molto importante e condivisibile, tale da costituire un punto di riferimento significativo in tema di tutela del diritto alla mobilità.
Da un punto di vista prettamente tecnico, invece, il provvedimento prescrive delle soluzioni pratiche di rimozione delle barriere che ci paiono inadeguate nel caso della metropolitana e incomplete in quello dei bus di superficie.

 

Gli aspetti positivi dell'Ordinanza

Per quanto riguarda gli aspetti più significativi e interessanti dell'Ordinanza, va evidenziato innanzitutto come il tribunale abbia stabilito che << l'impossibilità di accedere al trasporto pubblico locale costituisca una forma di discriminazione nei confronti della persona con disabilità, tutelabile mediante il ricorso allo strumento predisposto dalla legge n. 67 del 1-3-2006 >>.
Tra le altre fonti normative citate dal giudice si segnalano la "Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità" - ratificata dall'Italia con la legge n. 18 del 2009 - e l'art. 3 della Costituzione italiana (peraltro già richiamato dall'art.1 della legge n. 67/2006).
Troviamo dunque un elenco importante di provvedimenti a cui far riferimento per la tutela del diritto alla mobilità, anche ai fini di eventuali future azioni leali promosse da altri cittadini.

Nell'Ordinanza il tribunale ha evidenziato inoltre che << l'inesistenza di ausili - quali gli ascensori, i montascale, le rampe o gli scivoli - idonei a superare la barriera architettonica costituita dalla rampe di scale che conducono dall'ingresso delle stazioni della metropolitana ai binari, costituisce un oggettivo impedimento ad avvalersi del servizio pubblico di trasporto urbano per una persona affetta da disabilità. [...]. Ad analoga conclusione deve giungersi con riferimento alle autovetture adibite al servizio di superficie (autobus), che siano prive di pedane per consentire l'accesso alla persona disabile con difficoltà motorie >>.
Citando la Convenzione ONU, il giudice ha evidenziato come << la mancata adozione di "accomodamenti ragionevoli" costituisce di per sé una discriminazione vietata, con conseguente obbligo generale di adottare tutti gli adattamenti e gli adeguamenti necessari per consentire a una persona con disabilità di superare gli ostacoli >>.
Il giudice sottolinea inoltre che << ogni condotta, anche omissiva, dell'Amministrazione che non provveda, ove ragionevolmente possibile, ad eliminare i predetti ostacoli deve essere necessariamente ricondotta alla nozione di discriminazione indiretta di cui alla legge n. 67/2006 >>.

Molto interessante e condivisibile anche la posizione espressa dal tribunale in merito ai cosiddetti "servizi alternativi" di trasporto, cioè quelli << volti a consentire alle persone disabili di fruire di un mezzo di trasporto pubblico che consenta loro di raggiungere egualmente il luogo di destinazione che non potrebbero raggiungere mediante l'uso del mezzo di trasporto pubblico ordinario inaccessibile >>.
Su questo punto il tribunale ha stabilito che << la predisposizione di tali servizi - a prescindere da ogni valutazione relativa alla loro efficienza - consente di escludere l'ipotesi della discriminazione diretta, prevista dall'art. 2, comma 2, della legge n. 67/06, ma non anche quella della discriminazione indiretta, prevista dal comma 3, poiché la fruizione del servizio alternativo appositamente predisposto per le persone disabili non eliminerebbe la posizione di svantaggio in cui quelle si trovano a causa dell'impossibilità di accedere al servizio di trasporto pubblico rispetto alle altre persone, poiché non consentirebbe comunque loro di vivere la propria vita, esplicare la personalità e soddisfare i propri bisogni traendo dal servizio la medesima utilità. E ciò non soltanto perché le modalità di esercizio dei servizi alternativi non consentono di rispettare i medesimi tempi, a parità di percorso, del servizio di trasporto ordinario, ma anche perché quelle modalità imporrebbero alla persona disabile una modalità di vita che, separandola dalle altre persone con cui condivide o potrebbe condividere le esperienze normalmente comuni, la escluda dall'ambito di quelle persone >>.

 

Le lacune dell'Ordinanza

Pur importante per i princìpi generali sanciti e per le motivazioni adottate, l'Ordinanza del Tribunale di Roma prescrive delle soluzioni pratiche di rimozione delle barriere che appaiono inadeguate nel caso della metropolitana e incomplete in quello dei bus di superficie.
Con tali soluzione tecniche, infatti, il diritto alla mobilità - pur così efficacemente stabilito dal provvedimento - rischia di restare un buon principio teorico, ma con insufficienti ricadute pratiche in termini di effettiva accessibilità quotidiana del trasporto pubblico, al di là di quanto scritto nei giorni scorsi anche da autorevoli organi di stampa.

Non si può ovviamente pretendere che un Tribunale Civile abbia competenza tecnica sulle questioni di accessibilità dei trasporti, ma proprio per questo sarebbe assai auspicabile che - a fronte di future analoghe cause legali - i Giudici si avvalessero del parere tecnico degli esperti associativi che conoscono la materia.

Ma vediamo ora di passare brevemente in rassegna i punti insoddisfacenti dell'Ordinanza di cui si parla.

In primo luogo, per quanto riguarda la metropolitana di Roma - diversamente da quanto riportato anche da alcuni articoli di stampa - il Giudice ha prescritto al Comune di Roma di installare pedane servoscala e non ascensori. Si tratta di una scelta tecnica non condivisibile, perché, ad oggi, solo gli ascensori sono in grado di garantire l'effettivo diritto all'accesso in metropolitana per le persone con disabilità. I servoscala, invece, non possono essere ritenuti una soluzione adeguata, perché non garantiscono un accesso in autonomia e sicurezza.
In particolare, alla luce delle esperienze e dei ricorrenti inconvenienti degli ultimi anni, è emerso con chiarezza che gli impianti servoscala:
- sono spesso fuori uso, per problemi legati alla manutenzione e all'esposizione alle intemperie;
- si guastano talvolta a metà della salita, costringendo a richiedere l'intervento dei Vigili del Fuoco o di passanti volenterosi, con pericolose e improvvisate operazioni di "recupero" della persona trasportata, che la espongono a un grave disagio psicofisico e a un forte rischio per l'incolumità;
- prevedono a inizio scale un sistema di chiamata citofonica per richiedere l'intervento dell'operatore di stazione, ma capita spesso che il citofono sia guasto o che l'operatore sia impegnato in altre incombenze, costringendo la persona con disabilità a lunghe attese;
- sono dotati in genere di sistemi sonori e luminosi che - per ragioni di sicurezza - avvisano i passanti durante il funzionamento dell'impianto, esponendo la persona trasportata ai loro sguardi incuriositi e alla ghettizzante condizione di "trasportato speciale", in altre parole al motto "Attenzione! Pericolo! Disabile in movimento!".
Pertanto - pur avendo il vantaggio di essere più facili da installare e meno costosi rispetto agli ascensori - i servoscala sono un palliativo che maschera il problema dell'accessibilità, senza risolverlo, e non possono essere dunque valutati come un "accomodamento ragionevole".
Da anni LEDHA ha assunto nei confronti di ATM e Comune di Milano una posizione molto netta, rivendicando l'installazione degli ascensori come mezzo irrinunciabile per garantire la piena accessibilità della metropolitana milanese.
Pur non disponendo di datti ufficiali aggiornati, a quanto ci risulta oggi su 94 stazioni del metrò milanese (linee rossa, verde e gialla) solo il 40% circa sono dotate di ascensori e possono dunque essere considerate pienamente accessibili.

In secondo luogo, non convince il punto in cui il Tribunale ritiene di non imporre l'esecuzione di alcuna misura nelle stazioni della metropolitana non munite di ascensori, e in cui non sia possibile installare i montascale.
Su materie così complesse le deroghe ci possono stare, ma una deroga così vaga e generica lascia francamente un eccessivo margine di discrezionalità al Comune di Roma. In altre parole, sorge il seguente dubbio: chi decide quando non è possibile installare servoscala o ascensori? In base a quali criteri? Chi può eventualmente confutare queste valutazioni tecniche?

In terzo luogo, per quanto riguarda le linee di superficie, la prescrizione fatta dal giudice alla Societa ATAC, di esercitare il trasporto con bus tutti muniti di pedana, è da ritenersi incompleta e insufficiente, al fine di garantire una reale accessibilità del trasporto su gomma, quanto meno per due ragioni.
Innanzitutto la pedana non è condizione sufficiente per rendere accessibile un bus. In aggiunta, è necessario che il veicolo possieda anche questi requisiti:
- pianale ribassato, cioè assenza di gradini;
- alloggiamento interno specifico per carrozzina, che consenta un ancoraggio sicuro e l'utilizzo di una pulsantiera con i tasti di richiesta per la prossima fermata e richiesta aiuto;
- avvisatori luminosi e sonori di prossima fermata.
Forse - parlando di «bus muniti di pedana» - il Giudice intendeva far riferimento a tutti questi aspetti assieme, ovvero al concetto più ampio di bus attrezzato per persone con disabilità.
E in ogni caso, ai fini della piena accessibilità del trasporto di superficie, non è sufficiente nemmeno la presenza di veicoli attrezzati per persone con disabilità. Infatti, è indispensabile anche che tutte le fermate siano esse stesse accessibili.
Su questo punto, invece, nell'Ordinanza in questione il Giudice non si è pronunciato e ciò rappresenta una grave lacuna, perché invece il Tribunale avrebbe dovuto prescrivere al Comune di Roma l'obbligo di adeguare tutte le fermate.
A cosa serve infatti un bus attrezzato, se poi le fermate hanno barriere tali per cui i passeggeri con disabilità non possono scendere o salire dal mezzo?

Gabriele Favagrossa

Condividi: Logo Facebook Logo Twitter Logo mail Logo stampante