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19 Marzo 2010

Per un abitare diffuso

Un’idea di Spazio Residenzialità: Guido De Vecchi, responsabile di Spazio Residenzialità illustra un modello per creare e sviluppare un sistema di residenzialità territoriale in rete.

Dalla solitudine alla condivisione
I Quattro "poli dell'abitare" sono nati dalla consapevolezza che la sfida della Casa per le persone con disabilità (ma non solo) possa essere vinta unicamente con un lavoro di rete sui territori, in profondo spirito di servizio reciproco tra le realtà coinvolte .
Il modello di riferimento è un territorio delimitato nello spazio e nella storia locale, in cui agiscono vari attori dell'associazionismo, della cooperazione e delle fondazioni sviluppando coesione sociale fra i cittadini che vi abitano, con particolare attenzione alle fasce deboli, in primis le persone con disabilità.
I poli mirano ad una dimensione che superi i confini territoriali - nel nostro caso - della città di Milano, entrando in una logica di città metropolitana che può facilitare le risposte alle persone con disabilità in questa grande area urbana.
I poli facilitano la rilevazione dei bisogni e la pianificazione delle risposte possibili sviluppando collaborazioni fra le realtà dello stesso territorio,limitando "le
solitudini"dei cittadini e delle organizzazioni, evitando ciò che si sta rilevando ad oggi: lo sviluppo di progettualità quasi esclusivamente dedicata alla disabilità medio lieve con caratteristiche relazionali.
Un Polo può trovare il coraggio anche di attivare progetti in rete per fasce più complesse della disabilità creando sistemi di protezione economico/organizzativi per la realtà del terzo settore che si candida ad essere referente del progetto.

L'abitare diffuso
Nel polo si sviluppa il concetto dell' "abitare diffuso", modello mutuato dal settore turistico che utilizza il termine "albergo diffuso".
Secondo il modello dell'"abitare sociale diffuso", in un territorio definito l'offerta abitativa è data da una rete di residenze non ubicate nello stesso spazio ma collegate fra loro, con stessi referenti amministrativi e gestionali.
Tale concetto nel mondo della disabilità permette di collegare fra loro realtà abitative differenti (anche con pesi assistenziali diversi ) che si adattano al progetto di vita degli inquilini creando economie di scala.

Il modello dell'abitare diffuso prevede quindi

  • una solida realtà territoriale di riferimento che funge da capofila e coordinamento di:
  • una rete di abitazioni collegate, quali comunità socio sanitarie, microcomunità, residenze sanitarie per persone con disabilità
  • alcune associazioni e cooperative in associazione temporanea di scopo
  • la definizione di un territorio di riferimento controllabile con spostamenti non superiori ai 20 minuti/auto
  • una fondazione di partecipazione che lavori sulla coesione sociale,la raccolta fondi immobiliari e mobiliari a favore di tutta la rete degli stakeholders

Cosa mettere in rete su e con tale sistema stabile? Secondo il modello dell'abitare diffuso:

  • le realtà che gestiscono o che vogliono gestire case su un determinato territorio
  • l'associazionismo del territorio
  • i gruppi spontanei
  • le famiglie del territorio
  • le agenzie di aggregazione (parrocchie,centri sociali ecc)
  • il consiglio di zona e/o il piano di zona

Potrebbe essere funzionale, a livello di definizione di bacino territoriale, utilizzare i seguenti indicatori

  • appartenenza allo stesso piano di zona o piani di zona limitrofi
  • valutazione della rete viaria e dei trasporti che possa permettere facilità di spostamenti
  • un diametro del territorio non superiore ai km 6 per la città di Milano e 15 fuori città

Fondamentale è l'individuazione di una "centrale operativa di coordinamento" del sistema, che sia da regia (non ha stretta necessità di una sede fisica, per la sua valenza per lo più virtuale) che sia punto di riferimento della rete territoriale, che razionalizzi e coordini l'allocazione e distribuzione delle risorse sui servizi, che definisca e monitori gli accordi di collaborazione, l'impiego del personale e delle risorse necessarie all'assistenza.
Si immagini che la centrale, una volta entrata in contatto e definito il "bisogno casa" di quella persona con disabilità che - a titolo esemplificativo - vive a casa da sola, individuerà la risorsa di rete più vicina per attivarla all'invio del persona a domicilio.

Ad un primo livello di analisi è possibile identificare come punti di forza del modello che mira alla costruzione di un sistema di residenzialità territoriale i seguenti elementi:

  • l'attivazione di una "presa in carico abitativa" che parte dal progetto di vita, dalla storia, dalle aspirazioni, dalla situazione della persona con la disabilità e prova ad incrociarlo con le risorse disponibili ampliando la gamma delle possibilità
  • la realizzazione di economie gestionali di scala
  • il miglioramento della capacità di collaborazione della rete,
  • maggior visibilità delle criticità dell'abitare per le persone con disabilità, grazie anche ad una comunicazione che può essere più incisiva e diffusa
  • guestione più ampia delle risorse umane, anche in una logica motivazionale

Questo modello richiederebbe a livello operativo poi una gestione unificata e pianifica dei trasporti, un'attivazione dedicata delle risorse volontarie, così come un'analisi, una valutazione e ricerca specifica delle risorse immobiliari.

A livello di criticità, si evidenzia sicuramente l'aumento di complessità gestionale ed organizzativa del sistema, che richiede un lavoro attento e sensibile di costruzione della rete su sensi e risorse condivisibili e la definizione di protocolli di collaborazione gestionali e contabili. Tale complessità aumenta - come si è già avuto modo di segnalare - la crucialità del governo della rete assunta dalla "centrale operativa" con ruolo di coordinamento, verifica e progettazione sul territorio.

Guido De Vecchi - responsabile Spazio Residenzialità

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