La vita di donne e ragazze con disabilitą "risulta essere ancora oggi fortemente condizionata da stereotipi di genere". L'analisi di Simona Lancioni a partire dal General comment numero tre
Il 25 novembre 2016 il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha pubblicato il General comment numero tre, che fornisce l’interpretazione ufficiale dell’articolo 6 della Convenzione Onu dedicato ai diritti delle donne con disabilità.
Si tratta di un documento importante perché, all’interno della macro-categoria dei diritti delle persone con disabilità, pone l’attenzione sulla condizione delle donne e delle ragazze con disabilità, che risultano spesso vittime di forme multiple di discriminazione.
In quest'ottica, il General comment, inoltre, fornisce alcune definizioni chiave:
Le donne e le ragazze con disabilità rappresentano un gruppo non omogeneo all’interno della macro-categoria, già di per sé estremamente eterogenea, delle persone con disabilità. Sebbene siano stati fatti importanti passi avanti a partire dagli anni Ottanta, il riconoscimento di un’effettiva parità di genere è ancora lontano. La vita delle donne con disabilità -si legge nel General comment numero 3- risulta essere oggi ancora fortemente condizionata da stereotipi di genere.
Il Comitato delle Nazioni Unite evidenzia, nell’ambito dei diritti di donne e ragazze con disabilità, tre principali temi di preoccupazione che sono violenza, salute e diritti sessuali e riproduttivi, discriminazione.
di Simona Lancioni, responsabile del Centro Informare un’h.
Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)
Nello stesso anno in cui ha pubblicato il General comment numero tre, dedicato alle donne e alle ragazze con disabilità, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha trasmesso al nostro Paese il primo (e per ora unico) rapporto “Osservazioni conclusive al primo rapporto dell’Italia” sull’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Pertanto, a partire dal 2016, disponiamo di ben due strumenti per comprendere quali politiche e pratiche porre in essere per contrastare le discriminazioni multiple a cui sono esposte le donne e alle ragazze con disabilità e garantire loro “il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali” sancito dall’articolo 6 della Convenzione.
Nelle “Osservazioni conclusive” il Comitato Onu ha affrontato le questioni di genere legate alla disabilità in numerosi punti. In particolare, ha espresso preoccupazione perché in Italia “non vi è alcuna sistematica integrazione delle donne e delle ragazze con disabilità nelle iniziative per la parità di genere, così come in quelle riguardanti la condizione di disabilità” (punto 13). Ha dunque raccomandato al nostro Paese “che la prospettiva di genere sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative” (punto 14).
Altri richiami con esplicito riferimento al genere riguardano: il contrasto agli stereotipi relativi alle donne e alle ragazze con disabilità (punto 20); la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (punto 44); l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva (punti 61 e 62); l’alto tasso di disoccupazione tra le donne con disabilità (punti 69 e 70).
Tutte criticità che al momento non sono state minimamente affrontate dai diversi governi che si sono succeduti, nonostante organismi come il Forum Italiano sulla disabilità (Fid), non perdano occasione per sollecitare politiche e azioni mirate.
Tuttavia, commetteremmo un grave errore se pensassimo che la responsabilità del cambiamento competa solo alle Istituzioni o della società in generale. Infatti, ferme le responsabilità istituzionali e della società, se vogliamo che qualcosa cambi sul fronte delle discriminazioni multiple dobbiamo essere noi per primi e per prime a sentirci Stato, sia a livello individuale che nelle nostre formazioni sociali.
L’associazionismo femminile è ancora permeato da un radicato abilismo, mentre quello della disabilità presenta sovente strutture e prassi operative patriarcali che talvolta non vengono scalfite neanche quando al suo interno si formano gruppi di donne con disabilità che lavorano sulle questioni di genere.
Possiamo trovare organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità che, giustamente, chiedono alle istituzioni dati statistici disaggregati per il genere e la disabilità, ma poi non disaggregano in questo modo quelli relativi alla propria organizzazione. Altre che, pure avendo una storia decennale alle spalle, non hanno mai avuto una presidente donna, anche quando la base associativa ha una netta maggioranza femminile.
L’impressione è che l’associazionismo -che dovrebbe rappresentante anche le istanze delle donne e ragazze con disabilità- sia il primo a non interrogarsi e a non mettersi realmente in discussione su questi aspetti.
Queste osservazioni critiche non hanno la finalità di “screditare” l’associazionismo (di cui peraltro anche io sono espressione) ma di illustrare una dinamica che se individuata e corretta rafforzerebbe la coesione interna dell’associazionismo stesso, e metterebbe in moto un reale cambiamento culturale che si riverserebbe sulla comunità.
Non si tratta di promuovere politiche per le donne con disabilità, ma di lavorare con loro alla definizione di tutte le politiche associative, anche nelle occasioni di interlocuzione con le Istituzioni a tutti i livelli.
Nulla sulle donne con disabilità, senza le donne con disabilità.