Commento Generale n. 6 del Comitato, relativo all’ art. 5 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
Il documento in esame è il Commento Generale n. 6 - GE.1806662, pubblicato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità in data 26 aprile 2018. Ha per destinatari tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione e fornisce l’interpretazione ufficiale dell’art. 5 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, relativo al tema dell’uguaglianza e non discriminazione.
Articolo di riferimento
Art. 5 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
Introduzione
L’art. 5 della Convenzione è dedicato ai principi di uguaglianza e non discriminazione. Il Comitato rileva come le leggi e le politiche degli Stati Parti tendano a perpetuare un approccio alla disabilità fondato sul modello medico – assistenziale, centrato sulle menomazioni e non sui diritti, che impedisce l’applicazione del principio di uguaglianza, perché le persone non sono riconosciute come detentrici di diritti, ma ridotte alla propria menomazione. Il modello proposto dalla Convenzione, al contrario, ritiene la disabilità un costrutto sociale e insiste perché la stessa sia considerata come uno dei diversi aspetti che caratterizzano l’identità di una persona, ma non l’unico e penalizzante. Si sottolinea come i principi di uguaglianza e non discriminazione, concetti cardine al centro di ogni trattato sui diritti umani, risultano essere strettamente interconnessi con la dignità umana. Questa, non a caso, è la parola che compare con maggiore frequenza all’interno della Convenzione, dal Preambolo alle disposizioni più rilevanti. Una scelta dettata dalla constatazione che la dignità, così come l’integrità e l’uguaglianza, sono state storicamente sempre negate a individui con menomazioni, legittimando pratiche lesive dei diritti delle persone con disabilità.
Si richiamano infine i concetti di uguaglianza formale e sostanziale, sottolineando come solo la seconda possa dirsi realmente inclusiva.
Contenuto normativo dell’art. 5 della Convenzione
Il Commento n. 6 individua e offre precisazioni su alcuni concetti chiave strettamente connessi ad altre disposizioni della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.
[1] Occorre precisare che, nonostante nella versione italiana, l’espressione legal capacity, fulcro attorno a cui ruota l’art. 12, sia stata tradotta con capacità giuridica, nel presente testo di analisi si è optato per definire la stessa come capacità legale, nell'intento di ricomprendere in essa sia la capacità giuridica che quella d’agire. Due figure giuridiche che, nell’ordinamento italiano, risultano indubbiamente connesse, ma distinte. Una scelta terminologica precisa, dettata anche dalla volontà di rispecchiare il pensiero dei rappresentanti del movimento delle persone con disabilità, nei lavori preparatori alla redazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, come indicato nel testo di Bernardini Maria Giulia, La capacità vulnerabile (Jovene editore, 2021, pp. 52 - 56).
[2] L’art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità definisce l’accomodamento ragionevole come le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
Obblighi degli Stati Parti
Il Commento specifica che gli Stati Parti hanno l’obbligo di rispettare, proteggere e garantire il diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione delle persone con disabilità. Tale dovere si realizza, oltre che con la garanzia dell’applicazione di accomodamenti ragionevoli e di misure specifiche, anche con l’astenersi dal mettere in atto qualsiasi azione discriminatoria, così come intervenendo sulla legislazione attuale. La Convenzione richiede un impegno concreto e attivo, sia nel sensibilizzare la collettività, sia nel garantire protezione e rimedi efficaci per atti lesivi dei diritti; così come sanzioni effettive, proporzionate e soprattutto dissuasive per eventuali violazioni.
Rapporto con altre disposizioni della Convenzione
I principi di uguaglianza e non discriminazione rappresentano diritti strettamente connessi ad altre disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Nello specifico si individua una correlazione con questi articoli:
Art. 6: Donne con disabilità
Art. 7: Minori con disabilità
Art. 8: Accrescimento della consapevolezza
Art. 9: Accessibilità
Art. 11: Situazioni di rischio ed emergenze sanitarie
Art. 12: Uguale riconoscimento dinanzi alla legge
Art. 13: Accesso alla giustizia
Art. 14: Libertà e sicurezza della persona
Art. 19: Vita indipendente ed inclusione nella società
Art. 23: Rispetto del domicilio e della famiglia
Art. 24: Educazione
Art. 25: Salute
Art. 27: Lavoro e occupazione
Art. 28: Adeguati livello di vita e protezione sociale
Art. 29: Partecipazione alla vita politica e pubblica
Art. 31: Statistiche e raccolta dei dati
Art. 32: Cooperazione internazionale.
Attuazione a livello nazionale
Agli Stati Parti viene chiesto un intervento di adeguamento normativo sulla base di quanto previsto dall’art. 5 della Convenzione e dalle indicazioni fornite dal presente Commento. Si chiede che tale operazione venga svolta attraverso un coinvolgimento attivo delle persone con disabilità tramite le associazioni rappresentative e un investimento in termini di ricerca di migliori soluzioni e pratiche che valorizzino l’autonomia decisionale delle persone con disabilità.
focus di approfondimento
DISCRIMINAZIONE
Il concetto principe della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è il divieto di discriminazione. Le persone con disabilità spesso subiscono atteggiamenti discriminatori sia nella semplice quotidianità, sia in ambiti specifici, nonostante siano presenti, nel nostro ordinamento, delle disposizioni che vietano esplicitamente tali comportamenti. In aggiunta ai principi cardine di uguaglianza formale e sostanziale contenuti nella Costituzione, la vera rivoluzione in termini di tutela dei diritti delle persone con disabilità è data dalla Legge 1° marzo 2006, n. 67 recante le misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. Basato sul principio di parità di trattamento, il testo normativo introduce, all’interno dell’art. 2, le nozioni di discriminazione diretta e indiretta, ma rinviene altresì forme discriminatorie anche nelle molestie e nei comportamenti indesiderati che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità e prevede rimedi di tutela specifici per le possibili vittime. Il nostro ordinamento annovera poi leggi relative alla non discriminazione e alla parità di trattamento delle persone con disabilità in alcuni settori specifici, quali l’ambito lavorativo o scolastico, oltre ad aver recepito dal diritto internazionale le disposizioni introdotte dalla Carta di Nizza relativamente al diritto per le persone con disabilità a beneficiare di misure volte a garantire la loro autonomia e la partecipazione alla vita comunitaria e l’obbligo di non discriminazione per tutti gli Stati Membri. In tale contesto normativo, la ratifica, da parte dell’Italia, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità rappresenta un cambio di paradigma perché considera la disabilità stessa come la conseguenza di un ambiente non inclusivo che ostacola la piena e autonoma partecipazione alla società, in condizioni di parità con gli altri, per coloro che presentano limitazioni fisiche, mentali o sensoriali. In quest’ottica, il divieto di discriminazione, in capo agli Stati Parti, va letto in termini di promozione, protezione e garanzia del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità, intervenendo in modo efficace per rimuovere gli ostacoli che impediscono l’accessibilità, la mobilità, la tutela della salute, l’inclusione scolastica, l’inserimento lavorativo e la piena e autonoma partecipazione alla vita comunitaria. (link a General Comment n.3)
Si ritiene utile precisare che la sopracitata Legge 1° marzo 2006, n. 67 recante "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni" sancisce la possibilità, per la persona con disabilità che ritiene di essere vittima di forme di discriminazione, di adire il Tribunale competente per territorio. Lo stesso, una volta accertati i fatti che hanno dato luogo al ricorso, oltre a prevedere, se richiesto, un risarcimento del danno, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio e adotta provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti della discriminazione. Si tratta di una legge importante che comporta, oltre a una normativa specifica sul tema, un sistema efficace di sanzioni, che potrebbero divenire un deterrente di maggiore effetto contro tutte le forme discriminatorie. È una norma che stenta a essere conosciuta da molti, ma che ha un grande potenziale.