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DONNE CON DISABILITÀ - WOMEN WITH DISABILITIES

Commento Generale n. 3 del Comitato, relativo all’ art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

Il documento in esame è il Commento Generale n. 3 - GE.1620871, pubblicato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità in data 25 novembre 2016. Ha per destinatari tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione e fornisce l’interpretazione ufficiale dell’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, relativo al tema delle donne con disabilità

 

Articolo di riferimento

Art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

  1. Gli Stati Parti riconoscono che le donne e le minori con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple e, a questo riguardo, adottano misure per garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle donne e delle minori con disabilità.
  2. Gli Stati Parti adottano ogni misura idonea ad assicurare il pieno sviluppo, progresso ed emancipazione delle donne, allo scopo di garantire loro l’esercizio ed il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali enunciati nella presente Convenzione.                                           

 

Introduzione

L’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è dedicato al tema delle donne con disabilità. Si è ritenuto opportuno portare attenzione, all’interno della macrocategoria dei diritti delle persone con disabilità, sulla condizione specifica delle donne e delle ragazze con disabilità che risultano essere spesso vittime di forme multiple di discriminazione.

Il Commento fornisce le definizioni chiave:

  • Sesso e genere: individuando nel primo le differenze biologiche e nel secondo quelle culturali legate ai concetti di maschile e femminile;
  • Discriminazione multipla e intersezionale: di cui la prima risulta essere aggravata, perché derivata da due o più cause discriminatorie, e la seconda dettata da motivi tra loro connessi a tal punto da risultare inscindibili.

Le donne e le ragazze con disabilità rappresentano un gruppo non omogeneo all’interno della macrocategoria, già di per sé estremamente eterogenea, delle persone con disabilità.

Si sottolinea come, seppure a partire dagli anni ’80 sia stato avviato un cambiamento rispetto ai diritti delle donne, si è ancora lontani dal riconoscimento di una effettiva parità di genere. L’uguaglianza, in tal senso, rappresenta un principio fondamentale dei diritti umani; la vita delle donne, nello specifico di quelle con disabilità, risulta essere oggi ancora fortemente condizionata da stereotipi di genere.

Il Comitato evidenzia, nell’ambito dei diritti di donne e ragazze con disabilità, tre principali temi di preoccupazione che sono violenza, salute e diritti sessuali e riproduttivi, discriminazione.         

 

Contenuto normativo dell’art. 6 della Convenzione

Il Commento n. 3 suddivide l’analisi del contenuto normativo in due parti, rispecchiando la struttura stessa dell’art. 6 in esame.

La prima parte verte sull’analisi del concetto di discriminazione. Riprendendo quanto definito nella parte introduttiva, il Commento sottolinea in modo inequivocabile che essa può esplicarsi con diverse sfaccettature, ma tutte risultano essere ugualmente contrarie alle disposizioni previste dalla Convenzione e, pertanto, rappresentano forme di violazione dei diritti umani. Rimarcando il concetto che le donne con disabilità subiscono spesso forme di discriminazione multipla e intersezionale[1], in quanto donne e in quanto persone con disabilità, il Commento n. 3 definisce le tipologie di comportamenti e disposizioni che gli Stati sono tenuti a contrastare, sia che tali discriminazioni avvengano nella sfera pubblica, sia in quella privata. Nello specifico nei confronti delle donne con disabilità si parla di:

  • Discriminazione diretta quando una donna con disabilità viene trattata in modo diverso, in una situazione simile, rispetto a un’altra persona; Ad esempio, la discriminazione diretta si verifica quando le testimonianze di donne con disabilità intellettive o psicosociali che affermano di essere vittime di violenza vengono respinte nei procedimenti giudiziari a causa di eventuali limitazioni della capacità di agire giuridicamente, impedendo loro di avere giustizia e di ottenere risposte efficaci alla violenza subita.
  • Discriminazione indiretta quando un atto o comportamento di per sé neutri finiscono con l’avere un impatto negativo sproporzionato su una donna con disabilità; ad esempio, le strutture sanitarie possono apparire neutre, ma in realtà sono discriminatorie quando non includono lettini accessibili alle donne con disabilità per effettuare gli esami di accertamento.
  • Discriminazione per associazione quando una donna con disabilità è trattata meno favorevolmente per motivi connessi all’appartenenza a un particolare gruppo Spesso le donne che svolgono il ruolo di caregiver subiscono discriminazioni per associazione. Ad esempio, la madre di un bambino con disabilità può essere discriminata da un potenziale datore di lavoro per il timore che questa sia una lavoratrice meno coinvolta o disponibile nel proprio lavoro a causa degli impegni di cura nei confronti del figlio senza certificazione di invalidità.
  • Discriminazione strutturale o sistemica si realizza quando determinati comportamenti o politiche riflettono degli stereotipi legati al genere o alla disabilità Ad esempio, a causa degli stereotipi basati sull’intersezione di genere e disabilità, le donne con disabilità possono incontrare barriere nel denunciare la violenza come non essere credute ed essere liquidate dalla polizia, dai pubblici ministeri e dai tribunali.
  • Negazione di accomodamenti ragionevoli, laddove non richiedano un onere sproporzionato o indebito per il soggetto o l’ente che deve realizzarli, rappresenta altresì una forma di discriminazione. Essa si verifica quando modifiche e aggiustamenti essenziali e adeguati sono negati nonostante siano necessari per garantire che ad esempio le donne con disabilità godano, su base di uguaglianza con gli altri, dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali. Ad esempio, a una donna con disabilità può essere negato un accomodamento ragionevole se non può sottoporsi a una mammografia in un centro sanitario a causa dell’inaccessibilità fisica dell’ambiente costruito.

La seconda parte sottolinea, invece, le misure e i cambiamenti in positivo che gli Stati Parti devono mettere in atto per promuovere e garantire il progresso, la realizzazione e l’emancipazione delle donne con disabilità. Nello specifico, risulta fondamentale che alle donne con disabilità e alle loro organizzazioni rappresentative sia dato modo e spazio di partecipare concretamente e attivamente al processo decisionale pubblico.

Le definizioni e le esemplificazioni in tema di discriminazione proposte dal Comitato appaiono quanto mai utili e necessarie, giacché alcune forme di discriminazione si riconoscono abbastanza facilmente (ad esempio, la discriminazione diretta), mentre altre, per essere riconosciute, richiedono competenza e capacità critiche. Ora, se consideriamo che “la non discriminazione”, “la parità di opportunità” e “la parità tra uomini e donne” sono tre dei “Principi generali” sui quali si basa la citata Convenzione (“Principi generali” individuati nell’art. 3, ma vincolanti e riferibili, trasversalmente, a tutti gli articoli della Convenzione stessa), diventa evidente che, se davvero vogliamo attuare la Convezione, dobbiamo imparare a riconoscere e contrastare la discriminazione in tutte le sue forme, non solo quelle più facili da individuare.

[1] Si rimanda al focus di approfondimento riportato successivamente.

 

Obblighi degli Stati Parti

Il Commento in esame specifica che gli Stati Parti hanno l’obbligo di rispettare, tutelare e soddisfare i diritti delle donne con disabilità.

Nello specifico, per ognuno di questi doveri, vengono esplicati i relativi adempimenti al fine di eliminare ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne con disabilità.

Il rispetto si esplica nella non interferenza, da parte degli Stati, nel godimento dei diritti da parte delle donne con disabilità, permettendo loro di compiere scelte in condizioni di parità con gli altri.

La tutela deve essere intesa in diverse accezioni. Come garanzia che né gli Stati, né terzi, violino i diritti delle donne con disabilità. Sia nell’ottica di prevenzione da possibili forme di violenza e abusi, sia fornendo strumenti di indagine e rimedi efficaci da applicare alle situazioni in cui una donna con disabilità abbia subito forme di violenza o altra violazione dei diritti umani.

L’adempimento va, invece, interpretato come una ricerca continua e dinamica di soluzioni che garantiscano progresso ed emancipazione delle donne con disabilità. Questo attraverso l’integrazione delle stesse all’interno della società e l’adozione di piani di azione mirati e creati a misura delle loro specifiche esigenze.   

 

Rapporto con altre disposizioni della Convenzione

I diritti delle donne e delle ragazze con disabilità, sanciti dall’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità risultano essere strettamente connessi con altri principi contenuti nella Convenzione stessa. Nello specifico si individua una correlazione con questi articoli:

Art. 8:   Accrescimento della consapevolezza
Art. 9:   Accessibilità
Art. 11: Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie
Art. 12: Uguale riconoscimento dinanzi alla legge
Art. 13: Accesso alla giustizia
Art. 14: Libertà e sicurezza della persona
Art. 15: Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti
Art. 16: Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti
Art. 17: Protezione dell’integrità della persona
Art. 19: Vita indipendente ed inclusione nella società
Art. 23: Rispetto del domicilio e della famiglia
Art. 24: Educazione
Art. 25: Salute
Art. 26: Abilitazione e riabilitazione
Art. 27: Lavoro e occupazione
Art. 28: Adeguati livello di vita e protezione sociale
Art. 29: Partecipazione alla vita politica e pubblica.

 

Attuazione a livello nazionale

Il Comitato, pur riconoscendo che gli Stati Parti, nei loro rapporti periodici, hanno riservato attenzione al tema delle donne con disabilità chiede di abrogare tutte le forme non consensuali di sterilizzazione e controlli delle nascite e di tutte le cure mediche forzate legate al genere. Agli Stati è fatto obbligo di adottare leggi e politiche che promuovano la partecipazione attiva alla società e alla politica, lo sviluppo e l’emancipazione delle donne con disabilità, nonché la libera espressione della propria capacità in linea con quanto disposto dall’art. 12 della Convenzione. Viene chiesto inoltre di mettere in atto misure efficaci al fine di creare reti di donne e strumenti concreti per garantire alle stesse forme di sostegno di cui possono aver bisogno.

Si chiede poi di raccogliere e analizzare i dati disaggregati per genere e sulla situazione delle donne con disabilità.

Tutti gli obblighi elencati devono essere messi in atto partendo da un coinvolgimento attivo delle donne con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative.   

 

focus di approfondimento
DISCRIMINAZIONE MULTIPLA VS INTERSEZIONALE

Il tema della discriminazione rappresenta un concetto cardine dell’intera Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Il Commento, relativo all’art. 6, invita a una maggiore riflessione sull’argomento, sottolineando come le donne con disabilità possono risultare vittime di più forme di discriminazione, di genere, in quanto donne, e per via della disabilità.

Parlando dei diversi atteggiamenti discriminatori occorre fare chiarezza sull’utilizzo di termini che vengono spesso, erroneamente, usati come sinonimi. La presenza di più forme contemporanee di discriminazione, dettate da fattori differenti, genera situazioni complesse che si possono riassumere come segue:

  • Discriminazioni multiple (ordinarie o in senso stretto): si verificano quando una persona subisce forme discriminatorie, dettate da più fattori, che si verificano singolarmente, in situazioni differenti.

Un esempio di discriminazione multipla ordinaria è quello di una donna con disabilità che può essere discriminata contemporaneamente, ma in contesti differenti, sulla base di due fattori. Sulla base del genere se, in quanto donna, riscontra più difficoltà di un uomo nell'accesso al lavoro o per un avanzamento di carriera. Sulla base della sua disabilità se, a causa della presenza di barriere architettoniche, l'accesso a una struttura le risulta difficoltoso o precluso.

  • Discriminazione intersezionale invece, secondo la definizione proposta da Crenshaw[2], si intende il caso in cui vi è un’interazione tra discriminazioni basate su due o più fattori, in modo da non essere più scindibili. Ne risulta una specifica forma di discriminazione, qualitativamente diversa. In questo caso i fattori che causano discriminazione agiscono contemporaneamente, nello stesso contesto di azione (a differenza di quanto avviene per le discriminazioni multiple ordinarie), con l’effetto di una situazione peculiare che non è il semplice cumulo di più fattori, ma una realtà composita, di commistione, in cui risulta impossibile separare i diversi elementi discriminatori.

Un esempio di discriminazione intersezionale è dato dalla condizione che può caratterizzare le donne straniere con disabilità. Le stesse possono subire contemporaneamente una discriminazione di genere in quanto donne, razziale in quanto straniere, e socioculturale quando, per via di stereotipi legati alla disabilità, vengono trattate meno favorevolmente.

[2] Crenshaw, K. (1991). Mapping the Margins: Intersectionality, Identity Politics, and Violence Against Women of Colour. Stanford Law Review, Vol. 43, pp. 1241-1299.

 

Per approfondire questo argomento puoi leggere l’analisi di Simona Lancioni, responsabile del Centro Informare un’h. Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). Clicca qui.